Negli ultimi anni, gli enti di regolamentazione di tutto il mondo hanno rafforzato i controlli sugli investimenti sostenibili, inasprendo la legislazione, i requisiti normativi e i quadri di riferimento per l’informativa.

Queste iniziative hanno tuttavia sollevato alcune preoccupazioni in merito a un eccesso di regolamentazione – ovvero il fatto che l’esistenza di requisiti troppo rigidi o una moltitudine di regole possa essere controproducente e vanificare l’impegno per la creazione di un futuro più pulito e più green attraverso maggiori investimenti negli sviluppi sostenibili.

Il tema è stato trattato in occasione del secondo Sustainability Summit[1] annuale di abrdn tenutosi a Singapore a maggio, durante il quale i relatori hanno discusso della regolamentazione in materia di investimenti ESG.

Il dibattito sui pro e i contro di una rigida regolamentazione è stato improntato in maniera teorica, per agevolare una discussione sugli investimenti sostenibili che abbia un impatto concreto, non per rappresentare la view personale o aziendale dei relatori.

Da un lato, i sostenitori dell’attuale trend di regolamentazione hanno sottolineato che i flussi di denaro negli investimenti ESG continuano, nonostante i controlli più rigidi. A livello globale, gli asset manager dovrebbero veder crescere dell’84% il loro patrimonio gestito nel segmento ESG, da USD 18.400 mld nel 2021 a USD 34.000 mld nel 2026.[2]

Dall’altra parte, gli scettici hanno sottolineato il contestuale aumento esponenziale degli oneri legati ai requisiti normativi – che per poter essere soddisfatti richiedono alle aziende un dispendio sempre maggiore di tempo e denaro.

Il panorama dell’investimento ESG è divenuto molto più complesso rispetto a vent’anni fa, quando il termine è stato coniato.

Indubbiamente, il panorama degli investimenti ESG è divenuto molto più complesso rispetto a vent’anni fa, quando il termine è stato coniato. Nel loro processo decisionale, gli investitori devono orientarsi in un labirinto composto di normative, requisiti di informativa, standard e tassonomie. Gli sviluppi di regolamentazione per gli investimenti sostenibili prevedono:
  • Regole di informativa a livello di prodotto e di azienda;
  • Linee guida sulla gestione dei rischi ESG a livello di azienda;
  • Standard come la TCFD (cfr. sotto) con un focus specifico e di natura perlopiù volontaria;
  • Tassonomie – sistemi di classificazione che suddividono attività/investimenti in gruppi distinti, che possono essere legati alla regolamentazione e sono obbligatori o considerati standard di riferimento.

Di conseguenza, le regole relative all’integrazione dei fattori ESG nei prodotti e servizi d’investimento e alla comunicazione trasparente delle informazioni correlate sono divenute molto più rigide.

La mancanza di armonizzazione normativa nelle varie geografie – e tra le tassonomie – complica ulteriormente le cose. Entrambi i fattori creano oneri di reporting notevoli per gli investitori globali.

In abrdn riteniamo che una normativa chiara e appropriata sia il primo passo perché i clienti si convincano che i prodotti e i servizi in cui investono sono allineati con i risultati auspicati. Poiché la normativa è in costante evoluzione, riteniamo che essa sia un ostacolo minimo per lo sviluppo dell’investimento sostenibile.

È opportuno che gli asset manager si confrontino regolarmente con i clienti per aiutarli a capire l’impatto delle modifiche normative sui loro investimenti. Al contempo, riconosciamo la necessità di trovare un equilibrio: l’eccesso di regolamentazione può essere controproducente e creare oneri di reporting eccessivi per investitori e aziende.

A nostro avviso, il settore in generale svolge un ruolo decisivo nell’assicurare che i capitali vengano indirizzati verso gli investimenti sostenibili.

Imparare dall’Europa

Senza dubbio gli enti di regolamentazione nei vari mercati hanno priorità e obiettivi diversi. In linea generale, intendono migliorare la resilienza degli investimenti sostenibili tutelando dal rischio di ribasso, evitando il greenwashing e reindirizzando i capitali verso attività sostenibili.

La normativa fornisce dei quadri di riferimento che aiutano a definire il termine “sostenibile”. In teoria, questo rende più semplice per gli investitori individuare aziende idonee – oltre che fondi o mandati gestiti esternamente – verso cui indirizzare i capitali.

Nella pratica, sul campo la realtà è più complicata. L’Europa ha fatto da capofila implementando normative ESG complete. Ha redatto il Regolamento relativo all’informativa sulla sostenibilità nel settore dei servizi finanziari (SFDR) per migliorare la trasparenza sui prodotti sostenibili ed evitare il greenwashing.

La sua introduzione non è comunque stata semplice e sotto vari aspetti il regolamento SFDR può essere considerato un terreno di prova per gli enti di regolamentazione, soprattutto nella regione dell’Asia-Pacifico dove le normative e gli standard sono a vari stadi di redazione nei diversi paesi.

In generale abbiamo identificato tre lezioni che gli enti di regolamentazione dell’Asia-Pacifico possono apprendere dall’Europa: 

 

  • Nonostante la spinta per la creazione di standard globali in materia di ESG per una maggiore coerenza internazionale, esiste una carenza di interoperabilità tra il regolamento SFDR e le regole/linee guida al di fuori dell’Unione Europea.
  • Manca una tassonomia comune per l’ESG così come una definizione standardizzata di ciò che costituisce l’investimento sostenibile. Le tassonomie possono fare più chiarezza sulle tematiche ambientali e sociali.
  • È necessario fare di più per motivare gli investitori e le aziende a adottare pratiche di informativa trasparenti per ridurre il greenwashing (l’errata rappresentazione dell'impatto positivo di un prodotto finanziario, una strategia di investimento o un’azienda).

È opportuno rilevare che la mancanza di standard coerenti per la comunicazione dei dati ESG tende a incrementare il rischio di greenwashing e ridurre la fiducia degli investitori nei prodotti sostenibili, oltre a limitare il livello di tutela degli investitori. Peggio ancora, può determinare un’errata allocazione dei capitali, e indurre gli investitori a investire in aree che hanno un impatto scarso o inesistente sul mondo reale.

Su questo fronte i gestori patrimoniali hanno un ruolo importante da svolgere, indirizzando i capitali e promuovendo la transizione verso un futuro sostenibile.

In abrdn, stiamo collaborando con i policymaker e gli standard-setter del nostro settore per favorire lo sviluppo e l’elaborazione di normative appropriate che a nostro avviso promuoveranno l’investimento sostenibile tutelando al contempo gli investitori.

Analogamente, intendiamo ricoprire un ruolo di leadership sui mercati in cui operiamo, incoraggiando le aziende a sviluppare pratiche di informativa migliori, per mantenere i più elevati standard di trasparenza e guadagnare maggiore credibilità.