Gli investitori a lungo termine, come i fondi pensioni e le compagnie assicurative, investono in obbligazioni, azioni e altre asset class sulla base di un processo che mette in relazione rischi e rendimenti attesi.

Il cambiamento climatico comporta rischi a lungo termine per gli investimenti, sia a causa dei danni arrecati dai fenomeni meteorologici estremi alle infrastrutture fisiche, sia per via dei cambiamenti strutturali prodotti dal passaggio a un’economia a zero emissioni nette. Con ogni probabilità quest’ultimo aspetto sarà, nei prossimi vent’anni, più importante del primo.

Ma se il cambiamento climatico modifica il rapporto tra rischio e rendimento, bisogna necessariamente tenerlo in considerazione nell’analisi dei rischi e dei rendimenti attesi ai fini dell’allocazione degli investimenti.

Analisi degli scenari climatici e SAA

All’inizio dell’anno abbiamo ufficialmente integrato l’analisi degli scenari climatici nelle nostre previsioni di lungo termine sui rendimenti attesi. Nell’asset allocation strategica (Strategic Asset Allocation o SAA), quando si parla di rendimenti attesi per “attesi” si intende, in senso tecnico, la media ponderata delle probabilità assegnate ai vari scenari.

Per determinare questo valore utilizziamo una serie di scenari macroeconomici strutturali (detti paradigmi), quali, per esempio, scenari di inflazione elevata e deflazione. In aggiunta, abbiamo integrato le previsioni dei rendimenti attesi con una serie di scenari climatici.

La nostra piattaforma di analisi degli scenari climatici prevede 16 diversi scenari basati su vari presupposti, che cambiano in funzione del rigore delle politiche climatiche in vigore nelle diverse regioni e settori e delle nostre previsioni sui progressi tecnologici.

A ciascuno scenario climatico è associata una traiettoria per le emissioni di carbonio e l'aumento della temperatura globale, nonché traiettorie per la domanda di energia, i prezzi del petrolio e altri importanti fattori economici.

Una piattaforma climatica su misura

Gli stress test degli scenari climatici sono ormai un requisito obbligatorio per le autorità di vigilanza finanziaria di tutto il mondo e anche per vari sistemi di reporting, come quello della TCFD (Taskforce on Climate-related Financial Disclosures).

I nostri modelli si differenziano però dall'approccio standard per due motivi.

Innanzitutto, abbiamo cercato di essere più realistici nelle nostre ipotesi. Per esempio gli scenari standard del Network for Greening the Financial System utilizzati dalle banche centrali si basano su un unico prezzo globale del carbonio.1 A nostro parere è invece più plausibile ipotizzare diversi livelli di rigore delle politiche climatiche a seconda delle diverse regioni, un approccio che ci consente di formulare previsioni più accurate riguardo alle traiettorie di evoluzione e alle loro probabili conseguenze per le aziende di vari mercati.

In secondo luogo, a ogni scenario assegniamo poi una determinata possibilità di generare una distribuzione di probabilità dei possibili esiti climatici. La descrizione dettagliata del nostro approccio alla definizione degli scenari è contenuta in un white paper da noi pubblicato.2

Cosa ci aspettiamo

Il nostro strumento di analisi degli scenari climatici ci consente di generare stime sugli effetti di ciascuno scenario sul fair value di oltre 20.000 azioni e obbligazioni, aggregabili fino a livello di indici settoriali o regionali.

Il seguente grafico mostra gli ultimi risultati per i 12 settori rappresentati dall'indice azionario globale MSCI ACWI, basati sulle nostre stime più recenti elaborate con il metodo della media ponderata delle probabilità, che rappresenta in sostanza il nostro scenario climatico di riferimento.

Grafico 1 – Impatti dei diversi scenari climatici sui vari settori

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Fonte: Planetrics, abrdn.

Nota: i settori sono classificati in base al sistema GICS. I dati relativi agli impatti sulle valutazioni si riferiscono alle quotazioni di mercato al 31 giugno 2021. Queste analisi vengono aggiornate con frequenza annuale e il prossimo aggiornamento è previsto a settembre 2022.

Per alcuni settori come sanità, informatica e finanza l’impatto della transizione climatica sarà trascurabile, com’è del resto prevedibile visto che le loro emissioni di carbonio sono in linea di massima già basse.

Gli effetti maggiori si faranno sentire sul settore dell'energia, che raggruppa i principali produttori di combustibili fossili. L'impatto negativo sulle valutazioni di mercato di queste aziende è stimato intorno al 28%.

Ciò significa che, nel momento in cui queste analisi sono state elaborate (giugno 2021), la stima del valore netto attuale dei flussi di cassa futuri del settore era del 28% inferiore al valore assegnato dalle quotazioni di mercato. In sostanza, ciò è dovuto al fatto che secondo le nostre stime (che si riferiscono allo scenario centrale basato sulla media ponderata per le probabilità) il calo della domanda globale di petrolio sarà più veloce di quanto prevedono le stime di consenso.

Al contrario, il settore delle utility sarà il principale beneficiario di questa tendenza, grazie all’aumento del 10% del fair value rispetto ai prezzi di mercato. Il nostro scenario centrale presuppone infatti che la spinta verso la decarbonizzazione faccia salire la domanda di elettricità, fornendo sostegno alle prospettive di crescita complessive di tale settore.

Che cosa significa tutto questo per la SAA?

Il nostro approccio è simile al modello dei paradigmi che utilizziamo più in generale nell’asset allocation strategica. L'enfasi verte sul calcolo dell'impatto atteso sui rendimenti annualizzati nella media ponderata delle probabilità assegnate ai diversi scenari.

Per calcolare questo valore sommiamo gli impatti negativi sulle singole aziende di ciascuno dei nostri indici azionari regionali e formuliamo due importanti ipotesi:

1. L’errore delle valutazioni di mercato implicito nel nostro calcolo si correggerà in un arco di cinque anni. È ragionevole supporre che questo errore finisca prima o poi per correggersi, ma cinque anni sono un periodo arbitrario, dato che è praticamente impossibile sapere cosa determinerà la correzione o quando si verificherà. In base a questa ipotesi, se l’analisi degli scenari climatici mostra un impatto negativo del 10% sulla valutazione di una società, in ciascuno dei successivi cinque anni i rendimenti generati saranno circa del 2% l’anno inferiori.

2. Il rischio climatico è ortogonale rispetto ai paradigmi macroeconomici. Supponiamo infatti che non vi sia alcuna relazione tra i paradigmi economici e le nostre stime di transizione climatica (ortogonale, quindi, nell’accezione tecnica del termine). Questo presupposto non è però del tutto realistico – la crescita delle emissioni di carbonio sarà probabilmente più lenta in un paradigma di crisi deflazionistica (cioè crescita economica reale bassa o negativa senza inflazione) che in uno di ritorno alla nuova normalità (cioè intensa attività aziendale e forte crescita), nel quale le emissioni prodotte sarebbero più elevate. Tuttavia, per il momento non è in pratica possibile generare scenari economici e climatici combinati per tutti i 16 x 6 scenari combinati da noi analizzati. Di conseguenza, in questo caso possiamo limitarci a sommare l’impatto climatico negativo atteso con il rendimento atteso del paradigma.

Il grafico mostra i risultati di queste analisi per i principali indici azionari regionali:

Grafico 2 – Gli impatti climatici negativi sono diversi per i vari indici regionali

chart 2

Fonte: Planetrics, abrdn.

Nota: gli indici sono calcolati utilizzando i benchmark MSCI standard. I dati relativi agli impatti sulle valutazioni si riferiscono alle quotazioni di mercato al 31 giugno 2021. Queste analisi vengono aggiornate con frequenza annuale e il prossimo aggiornamento è previsto a settembre 2022.

Conseguenze per gli investimenti

Sulla base delle ipotesi generate dalla nostra media ponderata delle probabilità, ovvero il nostro scenario centrale:

  • L’impatto sui rendimenti attesi appare relativamente modesto e comunque inferiore all’1% l’anno nella maggior parte dei casi, e questo per due motivi. Primo, i settori più penalizzati (gas, petrolio ed estrazione mineraria) hanno una ponderazione relativamente bassa in gran parte degli indici – il petrolio rappresenta attualmente meno del 5% dell’indice MSCI ACWI. I settori più ampi, come tecnologia, finanza e sanità, appaiono nel complesso immuni a questi effetti. Secondo, le aziende favorite da questo trend compensano nel complesso quelle sfavorite. Nel grafico in alto l’impatto positivo sul settore delle utility compensa in parte quello negativo sul settore energetico, pertanto l’effetto netto per l’indice nel suo complesso è modesto.
  • Le conseguenze sono negative per tutte le regioni, una considerazione che potrebbe sorprendere, ma la transizione climatica è, in sostanza, simile a una nuova tassa per le aziende, che dovranno pagare per emettere gas a effetto serra e questo eroderà gli utili. Naturalmente, se gli investitori desiderano puntare su un’asset allocation tematica più strategica, ad esempio nel contesto di una strategia zero emissioni nette, gli impatti positivi o negativi potrebbero essere considerevolmente maggiori, con un incremento dell’1-2% l’anno dei rendimenti attesi annualizzati di una strategia dedicata alle soluzioni climatiche.
  • L’impatto sui rendimenti attesi dei benchmark creditizi più comuni è trascurabile. Anche in questo caso i motivi sono due: innanzitutto, gli obblighi di pagamento del debito obbligazionario hanno precedenza sui versamenti ai titolari delle azioni nella struttura patrimoniale delle società. Se gli utili di un’azienda si volatilizzano a causa di un crollo della domanda di petrolio o di automobili diesel, il valore delle sue azioni può anche azzerarsi, ma i creditori devono essere comunque rimborsati. In secondo luogo, il rischio di credito è molto più legato a fattori temporali di quello azionario. Il valore di un’azione può essere visto come la somma attualizzata di tutti i flussi di cassa futuri attesi in perpetuità. Invece, un'obbligazione decennale viene rimborsata 10 anni dopo l’emissione, quindi il suo prezzo non risente del cambiamento climatico che si verifica negli anni successivi alla sua scadenza. I principali indici obbligazionari hanno una scadenza media inferiore a 10 anni.

Le autorità normative spesso utilizzano scenari sviluppati dal Network for Greening the Financial System – https://www.ngfs.net/ngfs-scenarios-portal/.
2Climate Scenario Analysis: A rigorous framework, abrdn (2021).